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Emarginazione sociale?

Handicap, sinonimo di emarginazione: perché?

Giustizia, uguaglianza, solidarietà: questi sono temi trattati, si può dire, da svariati secoli addietro fino ad oggi, sono gli ideali verso cui tutti gli uomini, o quasi, tendono. Eppure, ancora oggi, dopo tante discussioni, gli uomini contemporanei, testimoni di un progresso che avanza inarrestabile, si ritrovano a fare i conti con la difficoltà di raggiungere questi grandi ideali…

Ma perché? Non possiamo attribuire la colpa di ciò solo a pochi insensibili o alle istituzioni che trascurano le esigenze dei cosiddetti più deboli; di sicuro coloro che detengono il potere non sono esenti da colpe, ma sembra che, ancora oggi, dopo tanti sforzi fatti, tante parole, promesse e tentativi di abbattere le diversità imperanti nella società, ci siano troppe persone incuranti di risolvere tali questioni, di certo non trascurabili e di poco conto. Problema rilevante e tuttora irrisolto relativo alle questioni della giustizia sociale e dell’uguaglianza resta quello degli handicappati, persone affette da deficit fisici o psichici, che vanno ad arricchire, loro malgrado, la schiera degli emarginati, a opera di una società sempre più indifferente ed egoista. Per queste persone diventa ogni giorno più difficile vivere in una società che non offre loro né cura e assistenza materiale sufficiente, né tanto meno solidarietà e appoggio… Perché, probabilmente, il dolore più forte e difficile da tollerare per i “minorati” non deriva tanto dalle loro carenze psico-fisiche in sé, quanto piuttosto dal fatto che la gente fa loro pesare più del dovuto queste stesse carenze. E’ indubbiamente vero che non basta un sorriso per migliorare le condizioni di vita di un handicappato, ma l’indifferenza o, ancor peggio, l’avversione nei suoi confronti, non può certo giovargli. Rinchiudere queste persone in ospedali e cliniche psichiatriche o in istituti di rieducazione serve solo ad illuderci di aver risolto la questione, ma non è certo nascondere un problema che aiuta ad eliminarlo! Il fatto di non avere dinanzi agli occhi il disagio di queste persone sfortunate sembra risollevarci, redimerci da colpe che comunque abbiamo e non possiamo ignorare: lo Stato potrebbe occuparsi di fornire strutture più adeguate alle esigenze di queste persone deficitarie, di abbattere le “barriere architettoniche” e tutti gli altri ostacoli che impediscono loro di condurre un’esistenza normale, ma questo non basta, c’è bisogno dell’appoggio dell’intera comunità. Anche se un giorno, si spera non molto lontano, si riusciranno ad eliminare tutti gli ostacoli al normale svolgimento della vita dei disabili, tutto ciò non sarà comunque sufficiente se la gente continuerà ad ignorarli o a considerarli persone inferiori, individui che hanno qualcosa in meno degli altri, definiti normali. Anche perché resta comunque il fatto che il concetto di “normalità” è alquanto discutibile e nessuno può definirlo in maniera precisa. Bisognerebbe, allora, imparare a riflettere sull’ entità umana piuttosto che sulle differenze che comunque continueranno ad esistere da individuo a individuo:non conta come ci si presenta fuori, ma quello che si è dentro e sebbene questo concetto sia ribadito in continuazione e sembra sia diventato quasi una “frase fatta”, priva di un vero significato, esso è oggi più che mai utile, anzi, indispensabile se davvero ci si vuole impegnare a costruire una società migliore, senza più ingiustizie e disuguaglianze. Probabilmente i disabili, queste persone che teniamo lontane, quasi fossero degli appestati, potrebbero insegnarci tante cose che noi ignoriamo, potrebbero farci conoscere la sensibilità e la solidarietà, qualità che la nostra società va sempre più trascurando ma che le persone più sofferenti conoscono profondamente e hanno imparato a coltivare. Perché il dolore e la sofferenza spesso aiutano ad aprirsi e a rendersi più disponibili verso gli altri, insegnano ad amare prima ancora che a desiderare di essere amati, perché fanno capire l’importanza stessa dell’amore, oggi calpestato da una società eccessivamente materialista!

Carmen